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Il caffè in Turchia: origine, cultura e curiosità

Componente imprescindibile dell’ospitalità turca, elemento irrinunciabile dell’immaginario legato alle terre del Medio Oriente, il caffè racchiude in sé innumerevoli significati che lo elevano dalla condizione di semplice bevanda a rituale ricco di incanto e di magia. Pretesto per iniziare una conversazione, singolare messaggero mentre si chiede la mano di una donna, strumento per suggellare contratti, il caffè incarna questo e molto altro. Quello che per noi è un piacevole momento di relax, infatti, si presenta in Turchia, con una consistenza, una modalità di preparazione ed una storia così particolare da meritarsi una sezione tutta sua nel Museo delle Arti Turche e Islamiche a Istanbul. Ultimamente la sua popolarità è cresciuta così tanto che ad Ankara i piccoli locali sulle vie di Kaleyçi sono quasi in gara tra loro per chi offre il migliore ai ragazzi che hanno riscoperto questa polvere magica.

Mentre i principali esportatori di caffè oggi sono Brasile e Vietnam, il caffè in terra turca arriva ancora per la maggior parte dallo Yemen e la carovana di cammelli che percorreva la strada accidentata fra i due Paesi, è un’immagine poetica per ricordare il grande amore lungo secoli per questa sorprendente bevanda. La storia del caffè è davvero lunga, si tratta di un cammino iniziato intorno al 900-1000 d.C. e che continua fino ai giorni nostri. Un percorso che ha seguito le rotte delle navi dai lontani Paesi d’Oriente fino all’Europa e grazie al quale, sono arrivati cibi e prodotti prima sconosciuti.

Riguardo al caffè, realtà, leggende e tradizione popolare si intrecciano fino a confondere le sue vere origini, ma si può affermare che già dal 1454 era possibile in Yemen sorseggiare tazze di caffè del quale venivano lodate le qualità aromatiche e le proprietà corroboranti. Dalla penisola arabica, il caffè si diffuse ampiamente, toccando le coste del Mar Rosso, la Mecca e Medina, fino ad arrivare al Cairo. L’evidente favore che conquistò presso i popoli arabi è attribuibile al divieto imposto dal Corano di bere alcool, il cui sostitutivo divenne appunto il caffè, tanto da guadagnarsi l’appellativo di Vino dell’Islam.

Con la diffusione della religione islamica si trasmisero nel frattempo anche le proprie consuetudini e fu così che il caffè giunse a Costantinopoli, nel 1517 circa, dopo la conquista dell’Egitto per mano di Selim I. Nacquero, da quel momento, i primi locali dove consumare l’insolita bevanda, alcuni anche molto sfarzosi, che divennero ben presto estremamente popolari. Il 1615 è la data secondo cui il caffè fece la sua comparsa in Europa, grazie agli scambi commerciali tra il Medio Oriente e le città di Venezia e Napoli.

Fin da subito il caffè si è distinto per le sue proprietà energizzanti: si racconta che i contadini iniziarono a nutrire curiosità circa il caffè quando notarono che le capre, dopo averne mangiato le bacche, iniziavano a saltare e a far capriole. A quel punto, i pastori etiopi cominciarono a masticarne le foglie. Si dice che i monaci mangiassero già bacche di caffè crudo fino a quando, durante una notte di preghiera e lavoro, gettarono per caso nel fuoco i frutti amari: in quel momento sentirono svilupparsi nell’aria un delizioso aroma e fu così che iniziarono a produrre con quelle stesse bacche una bevanda fermentata, simile alla birra. Grazie al suo potere stimolante, essi poterono stare svegli tutta la notte e pensarono fosse una benedizione mandata da Dio che permettesse loro di pregare fino al mattino. La bevanda fu chiamata kahweh, appunto, l’eccitante.

Nel corso del 16° secolo, dopo la conquista dell’Egitto e dello Yemen, anche l’Impero Ottomano si cimentò nella produzione di caffè. La bevanda trovava ampia distribuzione lungo la strada antistante il Palazzo di Solimano il Magnifico, prendendo per tale ragione il soprannome, per il personale del palazzo, di “caffè capo“. Nelle notti in cui si celebrava la nascita del Profeta Maometto, una tenda per il caffè sarebbe stata montata a Sultanhamet, accanto alla Moschea Blu e qui la bevanda veniva offerta ai fedeli che volevano pregare tutta la notte.

I viaggiatori stranieri e diplomatici in visita l’Impero Ottomano sono i primi a parlarne nei loro resoconti e memorie, narrando nel dettaglio il metodo di cottura e il caratteristico servizio con tipiche vettovaglie: contenitori e vassoi delle torrefazioni, vassoi in legno per il raffreddamento dei chicchi tostati, mortai e pestelli di legno, macinacaffè, smerigliatrici, scatole per la conservazione, dosatori, pentole trapezioidali con il manico lungo, dette ‘cezvè‘, per bollire il caffè, bracieri, tazzine senza manico con piattini; tutti strumenti dal sapore originariamente esotico ora divenuti repertorio familiare e caratteristico, pur nelle diverse varianti, in ogni angolo del mondo.

Nel 1669, Müteferrika Süleyman Ağa venne inviato alla corte di Luigi XIV a Versailles ma la sua permanenza fu brevissima poiché, quando si presentò al Re avvolto nel suo caratteristico mantello di lana grossa, si rifiutò di prostrarsi al monarca e fu sommariamente espulso da Versailles e inviato a Parigi. Qui, nell’opulento palazzo in cui soggiornava, Süleyman Ağa divenne il beniamino della società parigina grazie al suo affascinante ed esotico modo di fare conversazione accompagnando eloquenti discorsi con un buon caffè, così avviò, nella nazione della moda, la tendenza di bere caffè accompagnato ai fagioli portati con sé da Istanbul.

I primi caffè di Istanbul vennero aperti a Tahtakale, allora quartiere più popoloso della città, subito dietro al Bazaar delle Spezie, più tardi in Eminönü e Unkapani. Trovò presto un piccolo posto in ogni casa, dalla più umile dimora al più sontuoso palazzo, fino a giungere negli angoli più remoti dell’Anatolia. Ancora oggi, malgrado la velocità fotonica a cui i commessi fanno i pacchetti, vero spettacolo della manualità umana, nelle vie strette dietro a Mızır Pazar, il nome turco del Bazaar delle Spezie, letteralmente Bazaar Egiziano, si formano lunghe code per acquistare quello appena tostato da Kurukahveci Mehmet Efendi.

Curioso il divieto di bere caffè destinato alle donne: esso era considerato “sconveniente”, in particolare per la frequentazione dei locali dove veniva consumato, indicati dalla Chiesa come luoghi di perdizione. Johann Sebastian Bach, nella sua Cantata del Caffè, composta a Lipsia, raccontò la storia di una ragazza che amava il caffè. Suo padre non voleva che lei lo bevesse e dunque la minacciava dicendole che, nel caso si fosse ostinata, non le avrebbe comprato dei bei vestiti. Arrivò anche l’ultimatum finale: se avesse continuato a bere caffè, non le avrebbe trovato il marito! A questo punto la ragazza cedette, chiedendo di essere presto data in moglie. Abile fu però la fanciulla nello stringere un patto con il futuro marito, il quale le permise di berlo ogni volta che lo desiderasse.

In Turchia invece, se l’uomo proibiva alla moglie di bere caffè, questa poteva chiedere la separazione per giusta causa, dunque erano proprio gli uomini ad incentivarne il consumo da parte delle donne, in particolare, nella convinzione che le aiutasse durante il parto.

Come si prepara il caffè turco

Il caffè turco richiede una preparazione del tutto particolare: si utilizza un tipico bricco d’ottone o di rame con un manico di media lunghezza chiamato cezve. Il caffè viene macinato finissimo, nel bricco si aggiunge l’acqua necessaria, due cucchiaini di caffè per ogni tazzina che si vuole offrire e lo zucchero desiderato, poi viene fatto bollire a fuoco basso, mescolandolo delicatamente. Scaldando il pentolino sulla fiamma, o meglio ancora tra le braci, si formerà a seguito della bollitura, una schiuma. Quando quest’ultima sale verso il collo più stretto del contenitore, è necessario togliere il cezve dal fuoco. Parte della schiuma verrà messa già nelle tazzine, mentre il resto del caffè  verrà versato solo a seguito di una seconda bollitura, a cui a volte ne segue una terza.

Nel momento in cui viene servito, è necessario, prima di assaporarlo, lasciare lentamente sedimentare la polvere di caffè sul fondo della tazzina. Alla fine potete ribaltare la tazzina secondo le precise regole della superstizione e leggere i fondi divinando il futuro, cosa che io non so fare perché sono scritti in turco, ma se volete vi porto da chi con la caffeomanzia ci sa fare alla grande!

Se ordinate il vostro caffè ricordatevi quindi di chiedere prima se lo desiderate sade, amaro, sade letteralmente significa puro; az şekerli”, con poco zuccherato; orta, medio o şekerli, con molto zucchero. Ricordatevi che il caffè vada bevuto imprecando, cioè bollente, tutte le volte che lo lascio raffreddare mi chiedono sempre se ne voglio un’altro.
Come per il nostro caffè preparato con la moka, ognuno ha la sua ricetta per rendere la tazzina da offrire agli ospiti indimenticabile. A proposito, la parola moka, per molti sinonimo di Bialetti, tante ne ho regalate ai miei amici in Turchia che anche loro conoscono l’Omino coi Baffi*, deriva dalla città yemenita Mokha, dove secondo il celebre gastronomo Pellegrino Artusi veniva prodotto il miglior caffè al mondo.

Preparare un buon caffè turco richiede pazienza e molta attenzione. Nel febbraio del 2012 è stato inaugurato all’interno del Museo di Arti Turche ed Islamiche a Istanbul, il Museo del Caffè, dove i visitatori hanno modo di esercitarsi nella sua preparazione. e ricevere l’attestato di Ricordate che, come recita un noto detto turco, “un buon caffè turco si ricorda per quarant’anni”.

Esiste una versione particolare del caffè turco chiamata mirrà tipica delle province di Hatay, ovvero Antakya, Şanlıurfa, Diyarbakır e Mardin, nel sud-est della Turchia. Si tratta di una preparazione tradizionale che implica la doppia tostatura di chicchi di caffè di qualità arabica e che conferisce alla bevanda un sapore più amaro e un colore molto scuro. La miscela viene poi fatta bollire molto a lungo, finché l’acqua non è quasi completamente evaporata. Servito in tazzine molto piccole ha un suo rituale ben preciso: si dondola la tazzina per averne dell’altro, si tengono due dita sopra se ne abbiamo bevuto abbastanza e la tazzina non si appoggia mai! Questo tipo di caffè viene servito frequentemente nei paesi arabi. Infatti, il nome mirrà deriva dall’arabo mir che significa, appunto, amaro.

Una nota per noi italiani: per apprezzare il caffè turco, oltre alla proverbiale pazienza che occorre a far depositare la pregiata polvere sul fondo della tazzina, bisogna evitare paragoni con il nostro espresso, sono due cose diverse partendo dal profumo della bacca, nella tostatura, nel metodo di preparazione e nello stile: noi siamo di fretta, entriamo in un bar e beviamo in piedi un espresso, i turchi sono di fretta, entrano in un kahvehane, caffetteria, ordinano un caffè, aspettano che sia pronto, aspettano che la polvere si depositi sul fondo e se lo bevono in santa pace!

Qualche isposta alle FAQ che spesso mi chiedono:

– il caffè turco NON si mescola;
– bisogna chiedere prima se desiderate lo zucchero;
– anche se il rakı sa di anice, il caffè turco corretto sambuca non esiste !
– come nei nostri bar c’è chi fa un buon caffè con una buona miscela e chi no;
– non provate a mettere il caffè turco nella nostra moka: è macinato così fine che passa attraverso il filtro durante l’ebollizione, spesso intasando la moka e creando delle sgraditissime fontane esplosive che sparano la polvere a l’acqua bollente fino al soffitto, da qualche parte ho ancora la foto della cucina di un amico a cui avevo regalato un pacchetto.

* I turchi hanno i baffi per filtrare il caffè!

Buon caffè a tutti!

Enrico Radrizzani, scritto in collaborazione con Sara Alessandrello

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